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Brasile e Nuova Zelanda, due regioni molto lontane, radici e tradizioni diametralmente opposte; sembra ci sia poco in comune, ne la lingua, ne il clima, per non parlare dei colori rappresentativi… fino ad arrivare agli sport. In Brasile il calcio è religione, ragione di orgoglio, amore, tradizione, la nazionale brasiliana è storicamente l’avversario da battere, quelli che anche quando non hanno una squadra forte riescono a vincere, quelli che quando li batti lo potrai raccontare ai tuoi nipoti. In queste notti del mondiale carioca ho potuto verificare con i miei occhi la grande passione verde oro… e mentre guardavo gli inni nazionali ieri sera (Brasile – Camerun) ho pensato che ho avuto la fortuna di vedere una passione simile, un coinvolgimento di una nazione intera per i propri bengalini… e mi è successo proprio in Nuova Zelanda, dove il pallone è ovale e la nazionale si chiama All Blacks. Ricordo benissimo il mio mese nella terra dei kiwi, era il 2011, anno della Rugby World Cup; impossibile non “respirare” l’amore dei neozelandesi per la loro squadra, impossibile non rendersi conto che quello non è solo “tifo” ma è qualcosa molto vicino alla religione. Quando gli All Blacks giocavano una nazione si fermava, davvero. Ieri sera ho guardato qualche webcam in Brasile durante la partita… scene da “the day after”, deserto assoluto. Solo le piazze piene, le spiagge e i luoghi di ritrovo. In Nuova Zelanda ho parlato con nonnine di 70 anni che avevano il doppio delle competenze tecniche che ho maturato in 14 anni di rugby, mi spiegavano perché schierare quella terza linea piuttosto di quell’altra…. un po’ quello che si sente nelle interviste della gente comune brasiliana, sono davvero tutti allenatori.. e competenti! Quando gli All Blacks persero la semifinale della Coppa del Mondo del 2007 contro la Francia ci fu una sorta di “lutto nazionale”, disperazione diffusa, pianti, processi e necessità di spiegazioni da parte dei responsabili… scene e concetti che succedono puntualmente anche in Brasile quando la nazionale stenta e non arriva in fondo.

Spesso il calcio (specialmente in Italia) ci ha abituato ad eccessi da parte del pubblico, scene di guerriglia urbana, insulti e varie cose inenarrabili. Questo è il cancro del calcio che deve essere assolutamente guarito, con ogni mezzo. C’è chi ci è riuscito e chi, come noi, purtroppo continua a parlare senza mettere in pratica norme concrete. Al di la delle polemiche, credo che sia l’educazione sportiva che debba essere più curata dalle nostre parti. L’amore e la passione per lo sport e per la propria nazionale, qualsiasi sia lo sport, sono un valore di cui andare fieri; la sconfitta però fa parte dello sport, va combattuta con ogni mezzo certo ma quando arriva va comunque accettata, anche piangendo, perché no… ma con il pensiero rivolto al futuro, il mondo non finisce con una sconfitta, lo sport ti da sempre una seconda opportunità!

A presto e buoni mondiali!