Viviamo un’epoca digitale, un momento storico nel quale sono state stravolte le regole della comunicazione e del sociale. Tantissimi i benefici, primo fra tutti il reset del concetto di raggiungibilità e distanza: comunicare con gli Stati Uniti negli anni 90 era cosa per pochi, oggi lo può fare qualunque bambino in un click. Queste straordinarie tecnologie sono poi divenute davvero per tutti grazie all’avvento degli smartphones, oggetti che sempre negli anni 80/90 trovavamo nei film di fantascienza… oggi sono nelle mani di tutti noi, e anno dopo anno sono capaci di funzioni sempre più straordinarie.
E poi i Social Networks, la rivoluzione nella rivoluzione. Infiniti modi di collegarsi ad altre persone, di condividere con loro (e con il mondo interno) praticamente tutto: dove siamo, con chi, cosa pensiamo, cosa speriamo, cosa mangiamo, cosa vediamo ecc ecc.
Ormai all’identità reale si è aggiunta quella digitale, può coincidere ma anche no, esattamente come la reputazione reale e quella digitale. Per fare un esempio, il nostro vicino di casa potrebbe essere un mite nella vita reale ma interpretare il ruolo di un estremista esagitato e violento in quella digitale e, fatto salvo per le persone che lo conoscono davvero, il ruolo potrebbe reggere, eccome. Molto complesso, anzi impossibile a mio avviso, riuscire a discernere le persone attraverso il monitor: questo aspetto è un pericolo assoluto, specialmente per chi si fa poche domande e soprattutto per i giovani. Inutile dire che “arginare” la rete è impossibile, come cercare di arginare l’oceano.
Questi argomenti sono ormai trattati molto spesso, li leggiamo a destra e sinistra, spesso (come in questa occasione) proprio su quei Social Networks a cui dobbiamo prestare attenzione… eppure… la tendenza è al peggioramento, inesorabilmente, esattamente di pari passo all’aumento delle persone che ne fanno uso con grande felicità di chi usa questi strumenti per vendere.
Se vi fermate per un attimo ad osservare e a riflettere, vi renderete conto che si rischia di non vivere più il presente.
Ormai è scena comune vedere in un ristorante tavolate di persone che parlano ad intermittenza perché devono scrutare il telefono.. teste basse e dita veloci sui tasti virtuali. E ancora, timeline che vengono esaminate senza un vero perché: “vediamo che si dice su Facebook”… il dramma é che si perde quello che si dice nel tavolo che ci ospita o, peggio ancora, in quel tavolo non c’è nulla da dire. Ogni scenario, ogni esperienza, persino ogni battuta umoristica dev’essere condivisa.. si perde quasi il gusto di viverla.
E ai concerti di musica? Un tempo ci si portava l’accendino da usare nelle ballate e nei lenti per creare l’atmosfera… si faceva spettacolo. Adesso è un tripudio di telefonini che fanno video e foto.. che tristemente molto spesso non vengono rivisti se non velocemente.

Si ha fretta di dire ai nostri contatti quanto ci stavano divertendo, quanto è bello, quanto siamo fortunati.
In una parola c’è ansia. Ansia di perdere l’attimo, ansia di essere i primi a dire o i primi a postare qualcosa. Ansia di aggiornare tutti sulle scosse di terremoto. Siamo costantemente proiettati verso un futuro che non appena arriverà non avremo il tempo di vivere, già volti in avanti.
Se siamo in compagnia di Tizio e facciamo una passeggiata o mangiamo un gelato siamo anche in collegamento con Caio via WhatsApp, gli mandiamo foto e gli chiediamo un sacco di cose. A fine serata rischiamo di aver interloquito di più con Caio (virtuale) che con Tizio (reale).. se ci pensate è successo più o meno a tutti.
Chi non focalizza questa situazione rischia davvero di perdersi il presente, e se è vero che “life is now”… il problema è ben più grave!
Il mio timore più grande è per i “nati digitali”, bambini nati e ragazzi cresciuti nell’era digitale, che sempre più spesso non investono il giusto tempo per le relazioni fatte di dialoghi veri. Ragazzi per cui è tutto (troppo) facile e pronto.
Chiudo con una celebre riflessione di Umberto Eco, che condivido in pieno:
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità“
Rieccomi! Alla mia passione per i concerti ho dedicato un post: https://wwayne.wordpress.com/2017/04/30/febbre-da-concerto/. Che ne pensi?
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